Io non guardo mai fuori dall’oblò. Per una strana convinzione, quando salgo in aereo, viaggio più serena a pensare che sia un autobus. Soffrendo di vertigini e non avendo troppa simpatia per le altezze, non mi conforta il pensiero di essere a diecimila metri d’altezza.
Quel giorno no. La sorte mi ha assegnato il posto esterno della fila, e sebbene prima avessi pensato di cambiarlo – preferisco quello sul corridoio – poi ho capito che dovevo interpretarlo come un messaggio.
Era il 30 settembre, ed ho visto Cagliari farsi sempre più piccola sotto di me. Dopo di lei, la Sardegna. Ho continuato a guardare, perché se fa male e un po’ hai paura del fatto di aver preso in mano il tuo futuro, allora ti senti vivo. Ho salutato i miei monti e mi sono voltata per vedere quell’ultimo lembo di Sardegna che mi si faceva alle spalle, mentre il volo si alzava verso i primi chilometri di Corsica.
Odio gli addii, ma anche gli arrivederci non mi sono poi così simpatici. Ho poggiato la testa sullo schienale dell’aereo e mi sono abbandonata alla musica sulle cuffie.
Avevo atteso per mesi quel giorno, con paura, decisamente, e rimasi sorpresa dalla mia reazione. C’era tristezza, la paura sì, era ancora lì, ma c’era più voglia di sfida. Di competere con me stessa e fare un nuovo passo.
I sacrifici prima o poi saranno premiati.
E così, sono finita a fare la sarda a Milano (e Novara, dove sto) per costruirmi un futuro più saldo. Una città enorme che da sola ha praticamente gli abitanti di tutta la mia Sardegna. Un luogo in cui l’italiano è solo una delle tante opzioni, e troppo grande ed esagerato, in tutto, per essere misurato in qualche modo.
Alle stazioni di Milano c’è troppa gente. Ci sono troppi binari e troppi ritardi. I palazzi sono troppo enormi. Nei negozi c’è troppa calca, la metropolitana è troppo affollata – e troppo veloce per essere vera, le file per gli abbonamenti troppo lunghe, lo stadio troppo spettacolare. La facoltà è troppo enorme con i suoi cinque palazzi, le strade troppo trafficate. L’autostrada troppo veloce e piena di ingorghi, il cielo troppo grigio, la pioggia troppo frequente.
Sembra tutto troppo, a primo impatto.
Ma la verità è che questa è la terra delle occasioni e delle speranze, proprio perché c’è troppo di tutto.
Per chi ha abitato a Cagliari per sei anni, ma è di Villacidro – dove siamo 14.000 anime ad esser buoni – ogni cosa sembra uno sproposito.
Le persone vivono le loro giornate con i mezzi pubblici come in una specie di giungla dove vige sempre e solo la legge del più forte. È una differenza che mi è balzata subito all’occhio. La donna col bambino in braccio, sulla metropolitana, sta in piedi finché non le lascio io il posto. La vecchietta deve sgomitare se vuole salire sul treno.
Quando dicono che a Milano tutti hanno qualcosa da fare e sono di fretta, forse avevano ragione, la sensazione è questa.
C’è qualcuno che ci va per piacere? Sicuramente, non sui mezzi che prendo io. Le persone non si svegliano alle cinque per andare a Milano a svagarsi.
Purtroppo, per ora ho visto solo il suo marasma e le sue corse. Gli scorci di calma non ho ancora potuto visitarli.
La sensazione è quella di avere un po’ cambiato pianeta, sia perché io sono campanilista, sia per quelle differenze di fretta che accennavo prima. E per la facoltà. Ma quello è un altro discorso. Quando leggo commenti di colleghi che lamentano “la facoltà cade in pezzi”, non mi sento di fare altro che augurare loro le lezioni alla Clinica Aresu di Cagliari.
Chi ha troppo s’aspetta troppo.
Un elemento che mi ha colpito della facoltà, oltre a puntualità e strutture, è l’eterogeneità di chi la frequenta. Non ho trovato tanti altri sardi (solo due per ora), ma conto sulle dita della mano i milanesi. Ogni cosa qui è aperta, quasi poliglotta. Si aspettano che sia ambita da persone venute da lontano. Da noi, per ovvie ragioni, non può essere così.
Ed è tutto collegato. Purtroppo, la mia terra ha confini limitanti, devi saltare il mare per qualsiasi cosa. In una sera libera, invece, qua ho potuto raggiungere la redazione di SpazioGames, sito per il quale lavoro, per la mia prima diretta. È stata un’esperienza divertente ed appagante, nella quale mi sono sentita sorprendentemente a mio agio, e la reazione dell’utenza ad una presenza insolita è stata davvero positiva.
Sono felice di aver accettato l’invito di Lorenzo e di aver provato, in futuro ci sarà sicuramente occasione di farlo ancora. E Vimercate, traffico e palazzi in lontananza a parte, in qualche modo mi ha ricordato le stradine dei paesi che ho nel cuore. C’era silenzio, auto dormienti nei loro parcheggi e un anziano che portava a passeggio il cane, senza paura del buio o dei malintenzionati. Da noi la chiameremmo bidda, anche se proprio bidda non è. Ma mi sembra, almeno nel quartiere in cui sono stata, che ci vivano quasi come se lo fosse, e rispetto ai canoni milanesi fa più casa. Lo stacco dal milione e mezzo ai venticinquemila si sente.
Mi sono abituata al suono dell’M2. Il fischiare dei freni. “Romolo. Fermata Romolo.” Scendere e fare la mia camminata in mezzo al trambusto. Alle facce delle persone alle sei del mattino e ai mendicanti che ti tagliano la strada. Mi sto abituando al mare di luci e insegne, ai cartelli che indicano decine di direzioni di luoghi dei quali ho solamente sentito parlare.
Qualcuno dice che puoi togliere il sardo dalla Sardegna, ma non la Sardegna dal sardo, ed ha ragione. È tutto molto affascinante e stimolante, qui, ma un sardo sa sempre qual è la direzione verso il luogo dove lascia il cuore. Mercoledì sarò a casa causa imminenza del conseguimento della mia laurea, e sentir parlare in sardo mi cullerà. Mi farà piacere rivedere le vecchie strade. E mi sembrerà tutto così piccolo e poco frenetico – perfino Cagliari.
Questa è la terra delle occasioni, e serve il coraggio di coglierle. Ho deciso di accettare la sfida perché, ora come ora, la mia, di terra, non ha futuro. Ditelo alla politica che diceva che “i giovani italiani vogliono lavorare a due metri dalla casa di mammà”, fatele sapere che bisogna fare 800km anche solo per trovare un po’ di speranza per il domani – che ti piaccia o no.
E a Milano ci saranno sempre meno milanesi.
E in Sardegna sempre meno sardi.
Dopodomani comincio a preparare la valigia per i dieci giorni di ritorno a casa, ricarico le pile e torno presto qui a sgomitare per il mio futuro.
Non avrai speranza per il nostro avvenire, ma la tua bellezza e la tua luce non si confondono.
Sardegna aspettami.
Rita
18 Marzo 2019 - 15:32 ·Ciao Stefania,
ho trovato il tuo sito per caso, facendo una ricerca di alloggio a Milano perché a breve ci andrò per un’esperienza di lavoro.
Da sarda, capisco e concordo pienamente con quanto hai scritto… Le difficoltà, le speranze, le sensazioni! Vorrei chiederti se hai poi trovato a Milano quelle occasioni che menzioni. Mi pare di capire, se non erro, che anche tu sei laureata in Lingue Straniere.
Grazie, un caro saluto
Stefania
23 Giugno 2019 - 22:48 ·Ciao Rita,
prima di tutto perdonami per aver impiegato una vita a notare questo commento e a rispondere. Ho frequentato Lingue e Comunicazione, ma ho deciso di passare a Scienze della Comunicazione per la triennale perché lo ritenevo più nelle mie corde e nei miei interessi. La magistrale l’ho conseguita in TV, Cinema e Nuovi Media nel 2017, a Milano – come citavo nell’articolo.
Milano è strapiena di occasioni. Se sono quelle che cerchi, non te ne pentirai. Non starò qui a raccontare dettagli sulla mia odissea personale, ma sono sicura che Milano saprà accoglierti. Non sarà mai casa, per come siamo noi sardi, ma ti darà tanto.