Il viaggio interiore di Journey

Fatevi un favore. Mettete da parte quei pochi euro che vi servono e andatevi a comprare Journey. E non solo perché è realizzato con una delicatezza strabiliante, perché ha una colonna sonora straordinaria, perché è pura video arte—no.
Perché è un’esperienza da fare.

Ci sono una miriade di videogiochi che vi fanno vestire i panni di un essere umano. Realistico, curato, eccolo lì, il nostro alter ego virtuale, pronto a salvare il mondo, a farsi valere, a compiere la sua missione.
In Journey non c’è niente di tutto questo. L’esserino in cui riverserete la vostra anima è sì antropomorfo, ma forse no, mi somiglia, ma non so. E poi, guarda come corre, addirittura vola. Eppure, lo so che sono io. Cosa abbiamo in comune, dannazione?
Il viaggio.

Dai primi passi, imparare a volare, fino agli entusiasmi, le discese veloci in euforia. I rischi e le botte sul muso che ti fanno imparare che no, da lì non si passa. La luce sempre più vicina, l’unica cosa verso la quale puoi camminare. Lo sai benissimo, com’è che va a finire. Il sentiero è disseminato da chi ha fatto il viaggio prima di te, che ha lasciato tutti i segni possibili del suo percorso.
Freddo, i passi uno più difficili dell’altro, in balia dei venti. Quelle discese veloci rese radiose dal sole sembrano solo un vago ricordo. Ma c’è altro che posso fare? Ho visto quello che c’era da vedere, ho saputo volare. Devo solo continuare a camminare, perché questo è un viaggio e come tutti i viaggi ha un punto d’arrivo.

È con questa naturalezza straordinaria che, scenario dopo scenario, volo dopo volo, Journey ci riassume senza dire una parola e senza metterci davanti nessun essere umano. Il giocatore basta e avanza, anche con davanti questi esserini rossi dalle lunghe sciarpe.
Nel mondo di Journey, che non è altro che il nostro, non solo non hai bisogno del tuo corpo, per fare il tuo viaggio, ma dimentichi qualsiasi prudenza, pregiudizio, diffidenza, quando ti trovi davanti a qualcuno che ha bisogno di te. È solo un altro esserino rosso, non so perché è qui. Non so perché andiamo verso la luce, ma possiamo farlo insieme. Alla domanda, ma perché?, ti controbatteresti subito con e perché no?. Ed eccoti lì, stretto forte forte a un perfetto estraneo, mentre il vento soffia, rannicchiati dietro una roccia con il rischio di essere spazzati via entrambi, perché ci si sta stretti, in due. Ma non posso lasciare il mio amico lì fuori.
Amico. Chi diavolo ti ha mai visto? No, anzi, chi se ne importa? Uomo, donna, bianco, nero, giallo, etero, gay, che vuoi che m’importi? Ti proteggo e mi proteggi. A ciascuno il suo viaggio, ma con un’altra anima che ti assista è tutto più bello.

Mentre siete impegnati nel vostro viaggio, tra amici, studi, lavoro, famiglia, tutto quanto, ricordatevi di Journey. Saremo fatti di tempo che scorre e lunghe sciarpe che si consumano, forse sì, ma quanto è bello prendersi un momento anche solo per fissare i riflessi del sole sulla sabbia?

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